ARTE CONCETTUALE, COME E PERCHE’
di ARMANDO GINESI
Gli antecedenti? Certamente il Dadaismo (e per esso Marcel Duchamp) con la sua volontà iconoclasta e dissacratoria nei confronti dell’opera, con il suo affermare che il manufatto è di per sé privo di valore (artistico) a meno che non sia l’autore (oppure la società) ad attribuirglielo trasformandolo in icona, in reliquia, a dargli comunque una sacralità che da solo non possiede (si vedano i casi limite, ma fortemente emblematici, duchampiani, dell’Orinatoio, del Portabottiglie, della Ruota di bicicletta e così via).
Nel Dadaismo sono contenuti in nuce, ma poi neppure tanto in nuce, tutti quegli aspetti molteplici e variegati che finiranno sotto l’ampio ombrello dell’Arte Concettuale: dalla performance, all’environment, alla body-art, al poverismo e così via.
Un altro antecedente, meno remoto, è il Minimalismo con il suo voler ridurre sempre più il valore dell’immagine per “privilegiare la semplicità esecutiva, ma soprattutto per minimizzare l’espressione individuale e la piacevolezza immediata”, come scrive Angela Vettese. E’ chiaro che nel fondo delle teorie minimaliste giace l’intento di ridurre, essenzializzare, sfrondare e allontanare ogni ipotesi “espressionista”, ogni desiderio sentimentale per rifugiarsi, transitando attraverso le forme geometriche primarie, quindi archetipiche e ideali, nella dimensione del mentale.
Questi due antefatti teorici non possono che condurre ad un processo astrattivo assoluto che si conclude con il considerare l’opera risolta nel suo progetto, oppure nel comportamento individuale dell’autore, ma anche in quello degli astanti (nel caso particolare dell’happening) o nel tempo minimo del suo manifestarsi (arte del comportamento, per esempio) previsto in pochi attimi. Al massimo, dell’opera, o meglio, della sua idea, restano le tracce.
Così si realizza quanto aveva dichiarato nel 1961 Henry Flynt, del Gruppo Fluxus, il quale aveva definito quella sua e dei suoi colleghi George Brecht e Yoko Ono: “un’arte la cui materia è il concetto”.
Dunque, nel grande vortice dei linguaggi artistici innovativi che hanno connotato il XX secolo (ma i cui prodromi sono rintracciabili nella rivoluzionaria rottura, in chiave linguistico-espressiva, che aveva già effettuato l’Impressionismo sul finire del XIX) tra le Avanguardie Storiche della prima metà (tra le quali, appunto, il Dadaismo) e le Neo-Avanguardie sviluppatesi dopo la seconda guerra mondiale, l’Arte Concettuale rappresenta la massima estremizzazione per le ragioni suesposte ma sulle quali varrà forse la pena di insistere ancora un po’. Basta con l’oggetto, con il manufatto, con quella che comunemente si è soliti chiamare “opera”: ciò che conta è l’idea, è quello che si progetta, anche se, al limite, il progetto non sarà mai realizzato in alcuna forma o sembianza o situazione tangibile. L’importante è che io lo abbia pensato e che riesca a comunicare non più attraverso un fare materializzato, ma con una serie di azioni, di gesti, di pensieri resi visibili da quelle che sopra abbiamo chiamato tracce .
Dal punto di vista della ricostruzione storica del movimento, se così vogliamo chiamarlo, del quale ci stiamo occupando, ricordiamo che esso prende il via sostanzialmente verso la metà degli anni Sessanta (anche se, come abbiamo visto, certi fermenti erano già presenti nel Gruppo Fluxus, fondato nel 1961 dal critico d’arte e musicologo George Maciunas e profondamente influenzato dalle ricerche musicali del compositore John Cage). Le sue prime rassegne risalgono al 1966 presso il Museum of Normal Art di New York organizzate da Joseph Kosuth in modo quasi privatistico, nel senso che erano riservate a gruppi sparuti di amici. Proseguono poi nel 1969 al Museum of Contemporary Art di Chicago, al New York Cultural Center e, infine, trovano piena legittimazione al Museum of Modern Art di New York. Dagli USA si trasferiscono a Berna, Dusseldorf, Torino (con la mostra Concept-Earth-Arte Povera del 1970, curata da Germano Celant presso il Museo Civico).
Ritornando a quella metà degli anni Sessanta nella quale si è fissata la nascita della tendenza concettuale, di dimensioni internazionali, va sottolineato il ruolo svolto in Inghilterra da un gruppo (che più tardi, nel 1968, si definirà Art & Language) composto da David Bainbridge, Harold Hurrel, Terry Atkinson e Michael Baldwin. Questo gruppo organizzava una serata da dedicare all’analisi teorica di uno dei tanti movimenti avanguardistici e concludeva sostenendo che la disamina effettuata costituiva una vera e propria opera d’arte.
Come abbiamo già detto, nella sfera dell’ Arte Concettuale sono confluiti i movimenti più vari, tanto che la già citata Angela Vettese nel 1966 ha sostenuto che “sotto il suo ombrello sono venute a raccogliersi la maggior parte delle tendenze artistiche dalla metà degli anni Sessanta ad oggi”.
Fra gli autori più importanti, a livello internazionale, si annoverano Sol Lewitt, il già nominato Joseph Kosuth, Joseph Beuys, Douglas Huebler, John Latham, John Baldessarri, Shusaku Arakawa, Lawrence Weiner, Robert Barry, Victor Burgin, Louis Cane, Rebecca Horn, Julian Beck, Judith Malina, Meredit Monk. Tra gli italiani: Vito Acconci, Gina Pane, Luigi Ontani, Piero Manzoni, Giulio Paolini, Pino Pascali, Piero Gilardi, Michelangelo Pistoletto, Alighiero Boetti, Mario e Marisa Merz, Jannis Kounellis, Giovanni Anselmo, Pierpaolo Calzolari, Luciano Fabro, Vincenzo Agnetti, Gino De Dominicis, Eliseo Mattiacci, Claudio Cintoli, Franco Carotti e così via.